L'anello della Calcinaia



Scheda dell’itinerario
loc. di partenza: loc. Cappuccini (m. 590)
loc. di arrivo: la Calcinaia (m. 1.303)
difficoltà: MEDIA
tipologia del percorso: ad anello
Lunghezza: circa  Km 13,50 (anello)
tempo di percorrenza: circa 7 ore (anello)
dislivello totale: m. 713
sorgenti:         fontanella in loc. Cappuccini all’inizio del percorso
                     fontana di Piazza Croce alla fine del percorso  
                            (se si sceglie di passare per il centro storico di Morano)
quota massima: la Calcinaia (m. 1.303 s.l.m.)
quota minima: loc. Cappuccini (m. 590 s.l.m.)
periodo consigliato:   tutto l’anno
luoghi attraversati: loc. Cappuccini – Vallone Cammarella – Belvedere della Castagnella – Fosso Calcinaia – Cozzo Scorciabove – la Calcinaia – Perlinchierico – Genovardo – Morano Calabro

Descrizione:
ammantati, nei valloni sottostanti, da una vegetazione a tratti impenetrabile i Monti della Calcinaia sovrastano a ponente Morano. Non si direbbe ma questi luoghi, così vicino alle attività degli uomini, nascondono ambienti selvaggi e fuori dal tempo, inoltre considerando la loro modesta altezza oppongono notevoli dislivelli a chi si cimenta per i loro erti versanti. Morano se ne sta avvolto sotto le pendici dei tre monti della Calcinaia, a sinistra la cima più bassa il Cozzo Scorciabove con 1.282 m.s.l.m., al centro la cima più alta la punta del versante roccioso de La Calcinaia con 1.303 m.s.l.m, chiude a destra il Monte Scaletta più basso del precedente di soli 4 metri.
L’itinerario segue dapprima l’interno del Vallone Cammarella dove si incontrano rocce bizzarre dal color ruggine, successivamente il sentiero si apre in un bel serpeggiare tra terrazzamenti di pietre realizzati durante il rimboschimento forestale degli anni ’50 e della relativa bonifica dei versanti che qui risultano abbastanza esposti a fenomeni franosi. Nell’ultimo tratto prima di arrivare al “quadrivio” pinnacoli di roccia dalle forme strane ci osserveranno mute. 
Di incomparabile bellezza la vista dal Belvedere della Castagnella dove lo sguardo spazia su tutta la catena del Pollino e sulla sottostante Piana di Morano, con il bel borgo che se ne sta come un rettile attorcigliato nella sua tana. L’orizzonte chiude a perdersi verso la Piana di Sibari ed il Mar Ionio. 
La salita alla Calcinaia è corta ma abbastanza impegnativa specie se affrontata durante il periodo estivo, il paesaggio dalla cima è maestoso specie in primavera e in autunno quando l’assenza di foschia non limita la visuale verso l’orizzonte.
 
Il ritorno avverrà all’interno dei fitti versanti boscosi del Monte Scaletta nella direzione opposta rispetto a quella di salita, l’agevole sentiero porta ad un bivio poco prima di giungere al centro storico di Morano. Continuando lungo la strada e quindi verso sinistra si giunge a Piazza Croce dove si avrà la possibilità di rifocillarsi alla fresca acqua di una fontana, se si sceglie di andare a destra, mancando la caratteristica  discesa tra gli stretti vicoli del borgo, seguirete un sentiero che vi riporterà dopo una buona mezz’ora di cammino alla località di partenza.
Un tempo questi luoghi erano trafficatissimi mentre oggi sono quasi dimenticati. Fino a qualche decennio fa questo era il luogo dove venivano raccolte pietre calcaree e fatte cuocere in apposite fornaci di piccole dimensioni alimentate a legna e chiamate “carchere” o anche “cavucinere”, da qui il nome della montagna.
Le “carchere” erano molto numerose nel nostro territorio. Attraverso questa costruzione veniva prodotta la calce viva che fatta reagire con l’acqua dava origine alla calce spenta. Occorrevano decine di persone e molte settimane per produrla. Gli addetti alla produzione della calce erano chiamati “carcareri”. Coloro i quali trovavano le pietre da cuocere e pertanto cavavano il calcare erano chiamati “petrajoli”, mentre gli addetti alla ricerca della legna necessaria per la cottura del calcare erano chiamati “fasciajoli”. Il mestiere di “carcareru” era molto pericoloso a causa delle forti temperature del gas che la reazione chimica sprigionava: l’acido carbonico. Oltre i pericoli c’erano anche i saperi che i calcinari si tramandavano di generazione in generazione, ad esempio i nomi degli utensili e le parti che costituivano una calcara, i periodi giusti per l’accensione, la durata della cottura, tutte esperienze che sono ormai scomparse. A quei tempi la calce era la principale materia legante per la costruzione delle abitazioni in pietra del nostro paese.  Ancora oggi gli intonaci preparati con la calce in molte case antiche del centro storico, quelle che non hanno subito ristrutturazioni, sfidano il tempo e l’incuria degli uomini. In passato la calce veniva utilizzata per disinfettare, per modificare il pH dei terreni, mista a solfato di rame per preparare la poltiglia Bordolese e per “medicare” le olive, ma questo è un mondo che si è ormai perso nell’oblio del tempo.
Un tempo la gente chiedeva alla terra ciò che essa gli poteva dare in un rapporto simbiotico tramandato di generazione in generazione e iniziato secoli prima. Le genti del passato costruivano i paesaggi nella continua ricerca di accordare il loro agire con la natura, non avevano bisogno di Piani Regolatori, PSC o Piani del Parco, la terra veniva rispettata perché sapevano che prima o poi quello che si faceva alla terra ricadeva sull’uomo. Oggi l’uomo moderno ha imparato con la tecnologia a costruirsi attraverso il paesaggio un mondo artificiale perdendo l’equilibrio, l’armonia, la musica della natura.